domenica 27 novembre 2011

giovedì 10 novembre 2011

educazione spirituale per giovani cuochi /3

-la solitudine del cuoco-

Sì, lavorare in cucina dovrebbe essere un lavorare di gruppo, e in parte è vero; quando succede senti la sinfonia di tutta la cucina che batte un tempo sostenuto, un andante, si può anche scherzare nei momenti più difficili. Ma non è facile perdersi nella sinfonia collettiva. Ognuno ha un compito, in qualsiasi ristorante, che è principalmente una sfida con sè stessi. Penso che solitudine la senti quando ti sembra di non riuscire a raschiare un pò di energia, e devi contare solamente sul tuo corpo; solitudine quando in un gruppo non sei ancora integrato o sei stato rifiutato, solitudine quando devi combattere contro il tuo capo. Ma da un certo punto di vista questa solitudine è anche liberatoria, ti rende a te stesso, al lavoro che devi fare, senza troppe mediazioni, sei lì e non c'è altra strada se non allacciare l'ultimo bottone della divisa, affilare i coltelli, e aspettare le orde mongole, barbare come la Fame che ti sembra impersonifichino, e arriveranno tutte insieme, e ti pare possano mangiare anche te se non lavori bene, guardare quel minuto di silenzio prima di un servizio dove il ristorante è pieno e aspettare, a braccia aperte.

http://www.youtube.com/watch?v=Ofuq7Y5Xddc&feature=related

sabato 5 novembre 2011

educazione spirituale per giovani cuochi /2

-musica-

"musica è come musica, il desiderio regna nella mente parto senza voglia di tornare"
Giuni Russo

Spesso quando sono al lavoro canto; penso sia importante. Intanto mi serve per concentrarmi, in realtà serve a non infossarsi nei propri pensieri; ok, fin qui ci arriviamo tutti, però quando è un pò che canti, è la musica che monta, ma non necessariamente la melodia che stai stonando casomai, ma la musica stessa dei gesti che fai. Va ben l'ho detto, ora c'è chi prende questa cosa che ho detto in maniera troppo mistica, allora mettiamoci d' accordo: intendo che se canti mentre lavori, a un certo punto i gesti che fai sono talmente legati a quel che canti, che si danno senso a vicenda. Ostia ancor peggio, tiro in ballo question di senso; ahhh faccio filosofia, ahhhh; calma prima che la metafisica corra da sola meglio metter dei pali: intendo che quando le cose van bene, e ti sembra di essere immerso nella musica dei tuoi stessi gesti, il significato stesso del tuo lavorare và oltre la sua logica funzional-economica, e te ti vien anche da ridere anche se sei in piedi da tredici ore e tutti sono scazzati intorno perchè si è rotta la lavapiatti. Beh ora vi chiederete cosa canto, oddio di solito quel che posso, ma questa è una delle mie hit.

http://www.youtube.com/watch?v=hvDTforcNhw

giovedì 3 novembre 2011

educazione spirituale per giovani cuochi /1


- la divisa -

Tutti giorni comincia così, dalla divisa; come soglia, una miriade di frammenti di rituali affollano questo momento: lo specchio, il nodo al grembiule, le foto sull'armadietto, le sigarette in tasca, il cappellino da baseball, ognuno s'attacca a quel che può; ci illudiamo che la divisa uno la possa indossare e togliere, indossata si è cuochi, senza si lascia un'identità nel cesto della roba sporca; sarebbe bello, decisamente, invece ogni tanto fa fatica a staccarsi dalla pelle, entra dentro la schiena che fa male, i tagli e le bruciature nelle mani, il mal di testa; altre volte invece quando la metti a volte ti stringe, e invece di proteggerti, ti imbriglia, camicia di forza del contenimento di tutti i doppi che scappano nella stanchezza di uno spazio regolamentato fino negli angoli. Di divise ne ho viste tante, persino una di color militare, di dubbio gusto, c'erano datori di lavoro che non ne potevano vedere di color nero, altri ristoranti dove solo nere si portavano; ci sono i grandi chef che ci cuciono sopra tutte le loro onoreficenze, ci sono quelli che lavorano in posti importanti e che le hanno consumate; però in fondo il bianco ingrigito delle mie divise più vecchie non ancora stirate mi conforta come una nebbia che conosco bene.